Gli esordi

Gli appassionati di storie di successi aziendali conoscono già la trama...

Gli appassionati di storie di successi aziendali conoscono già la trama...

Un imprenditore-eroe sogna di realizzare una grande idea, trova una o due persone che lo aiutano a realizzarla, si scontra con il nemico di sempre, sconfiggendolo, e cavalca verso la gloria mentre scorrono i titoli di coda.

La storia di Sonos potrebbe sembrare simile, apparentemente. I suoi quattro fondatori - John MacFarlane, Tom Cullen, Trung Mai e Craig Shelburne - avevano una visione audace basata su una tecnologia che all’epoca non esisteva. Motivati dalle intuizioni avute con il successo ottenuto nella prima fase di costruzione di un’attività basata su Internet, scelsero come missione successiva un modo nuovo per portare la musica in tutte le case, in modalità wireless, in più stanze, da PC e da Internet, con un suono eccezionale. Assunsero un team straordinario che realizzò prodotti straordinari partendo da zero, e gli appassionati di musica di tutto il mondo scoprirono un nuovo marchio di cui innamorarsi.

Ma vogliamo dare uno sguardo più da vicino?

Quali frustrazioni e insuccessi hanno incontrato lungo il percorso? Hanno appreso lezioni più importanti? La storia dei traguardi raggiunti da Sonos e di quelli che sta perseguendo potrebbe essere familiare a molti. Attraverso dettagli inediti, quella che segue è la storia del suo percorso.

Parte 1: Il panorama di Santa Barbara

John MacFarlane si trasferì a Santa Barbara nel 1990 per conseguire un dottorato presso l’Università della California-Santa Barbara. Ma la promessa di Internet lo portò a sviluppare Software.com insieme a Craig, Tom e Trung. Dopo la fusione di Software.com con Phone.com nel 2000, che portò alla creazione di Openwave, si mossero per capire insieme quale strada intraprendere.

Qualunque cosa gli riservasse il futuro, erano certi del loro desiderio di rimanere insieme e di non lasciare Santa Barbara dove, con le loro famiglie, avevano iniziato a mettere radici. Forse è proprio allora che nacque l’abitudine di prendere decisioni poco ortodosse, come quella di aggiungere al lavoro un certo grado di difficoltà e una nuova prospettiva.

Stando alla descrizione di Tom, il panorama di Santa Barbara ispirò quattro grandi intuizioni derivanti, secondo le sue parole, dal trovarsi “al centro del fenomeno Internet nel momento in cui stava esplodendo”:

Quattro grandi intuizioni

In primo luogo, la proliferazione di standard significava che Internet era una piattaforma programmabile.

In secondo luogo, il crollo dei costi dei “cervelli” e dei “sistemi nervosi” dei computer (circuiti integrati, unità di elaborazione centrale e altre tecnologie) implicava la rapida trasformazione di questi componenti in beni.

In terzo luogo, i quattro fondatori potevano osservare quello che i costruttori stavano acquistando e, di conseguenza, potevano osservare la digitalizzazione muovere i primi passi intorno a loro, con possibilità quasi illimitate.

Infine, come direbbe Tom, capirono che, per quanto riguarda il collegamento in rete, “ciò che era possibile su larga scala era possibile in scala ridotta”. Le reti di ampia portata avrebbero creato mercati e offerto capacità affidabili alle reti locali.

Combinando esperienza, risorse e intuizioni, i quattro fondatori spostarono la loro attenzione in modo naturale alla musica a casa ma...

... non così rapidamente.

La prima proposta di John ai suoi tre soci riguardava in realtà l’aviazione. L’idea era quella di offrire la fornitura di reti locali (o LAN) sugli aeroplani, all’interno delle quali proporre servizi ai passeggeri. Tale idea non aveva generato l’entusiasmo che si aspettava, così John tornò al tavolo da disegno.

Ben presto quel tavolo da disegno si riempii di ispirazione derivanti dalla comune passione dei quattro amici per la musica e la comune frustrazione causata dal dover archiviare centinaia di CD, districare un intreccio di cavi di stereo e diffusori e sostenere i costi di cablaggi domestici personalizzati per ottenere esperienze d’ascolto multi-room. Questa diventò l’occasione per mettere in pratica i loro peculiari talenti, risorse e intuizioni.

La visione era semplice: aiutare gli amanti della musica a riprodurre qualsiasi brano in ogni luogo della casa.

Nel 2002, il problema era uno solo: non era disponibile quasi nessuna delle tecnologie necessarie per raggiungere tale scopo. La grande start-up riguardante musica e tecnologia avrebbe messo le radici tra i centri globali di entrambe, a circa 145 km da Los Angeles e a più di 400 km dalla Silicon Valley. Sulla base di una visione che era pura immaginazione.

Parte 2: “Questi ragazzi sono matti”.

Nel 2002, ascoltare dell’ottima musica a casa significava nascondere cavi dietro a mobili e librerie, collegare diffusori grandi come tamburi, trovare i fori giusti sul retro di ricevitori e lettori in cui inserire i jack audio, utilizzare supporti multimediali fisici come CD e cassette e, se si desiderava un’esperienza multi-room, passare un pomeriggio (o un fine settimana) a fare buchi nei muri per far passare i cavi dal ricevitore centrale ai diffusori disseminati per tutta la casa.

Durante l’ascesa e il declino di Napster come strumento per cercare la musica online e ascoltarla sul computer, la musica digitale era ancora un concetto nuovo, e l’idea di riprodurre la musica direttamente da Internet era inverosimile. Pandora, iTunes, Spotify e il resto dei leader odierni nei servizi di streaming musicale non esistevano, e neanche l’iPhone. Il principale fornitore di servizi Internet nel 2002 era ancora America Online, con il suo dial-up, quando meno di 16 milioni di case statunitensi disponevano della banda larga ad alta velocità.

Imperterriti, i fondatori si misero all’opera per realizzare la loro visione e cercare talenti unici con cui collaborare.

Il primo passo fu quello di trasferire su carta quello che avevano immaginato.

Stando a Cullen, ci vollero circa tre mesi, e il risultato fu questo:

Questo schizzo molto semplice, sebbene aggiornato e migliorato sotto diversi aspetti, rimane la base dei prodotti Sonos di oggi.

Il secondo passo, il reclutamento di talenti peculiari, ha richiesto più o meno lo stesso tempo.

Schulert provava per Boston gli stessi sentimenti che i fondatori provavano per Santa Barbara, perciò Sonos aprì una sede a Cambridge, con la promessa di non considerare mai una sede più importante dell’altra.

Vale la pena chiedersi come un’azienda senza alcun nome e utopistica come Sonos sia riuscita ad attirare talenti di punta. Oltre al successo iniziale di Software.com, i fondatori offrivano alcuni grandi vantaggi: una certa reputazione per le loro competenze tecniche, un'ampia rete di dirigenti, tecnici e progettisti straordinari, un fiuto per il talento e una visione audace che ispirava gli audaci.

Questo intrepido gruppo si mise al lavoro rifugiandosi in un ampio open space sopra il ristorante “El Paseo” di Santa Barbara, dove il pomeriggio salivano odori di tortillas fritte. Gli inizi non furono promettenti.

“La stanza era disposta come un’aula scolastica, con file di scrivanie e John alla cattedra, in una posizione più elevata”, ha ricordato Nick Millington. “Lavorava al prototipo di un amplificatore, testandolo con onde sinusoidali, il che era irritante. Stavo provando a sviluppare un livello di trasporto audio che continuava a non funzionare e a produrre rumori orribili, proprio davanti al CEO che mi guardava lavorare tutto il giorno. Così ho investito in un paio di cuffie”.

Come se la difficoltà di inventare un sistema audio wireless e multi-room per la casa non bastasse, il team prese collettivamente decisioni chiare in merito alla facilità d’uso: la configurazione avrebbe dovuto essere rapida e intuitiva per tutti, integrarsi perfettamente con qualsiasi tecnologia o servizio e offrire una qualità audio superiore in qualsiasi ambiente domestico.

Il risultato di tutte queste nobili decisioni orientate all’utente fu che i problemi tecnici minacciavano di sopraffare il piccolo gruppo di tecnici e progettisti Sonos sin dall’inizio. L’integrazione di diverse tecnologie presupponeva la scelta di Linux come piattaforma tecnologica, ma all’epoca non esistevano ancora driver per l’audio, per i pulsanti remoti di controller o rotelle di mouse, o per il collegamento in rete che si rendeva necessario. Il team di Sonos doveva svilupparli.

Ascoltare la musica in più stanze significava inventare un metodo per far arrivare l’audio a più diffusori all’istante e in wireless, senza che gli ascoltatori percepissero mai delle interruzioni.

Il team era davanti a una scelta: consentire a ciascun diffusore di acquisire la musica in modo indipendente oppure avere un diffusore master che la acquisisse e la distribuisse.

Come spiega Jonathan Lang: “Il dubbio era: intelligenza distribuita o centrale? Abbiamo scelto quella distribuita, non perché fosse più facile (non lo era affatto!), ma perché era l’architettura giusta per l’esperienza che volevamo offrire”.

Il team aveva scelto la prima opzione in quanto esperienza migliore per l’utente, ma quella scelta ha avuto il suo effetto domino: come si gestisce il buffering (nel 2003) per proteggersi da interruzioni di rete (che avrebbero fermato la musica a metà brano), e che cosa accade se l’utente rimuove il diffusore master dal gruppo?

Per quella che sarebbe diventata una delle principali tecnologie brevettate di Sonos, il team ha sviluppato un processo personalizzato, chiamato “delegazione”, per consentire espressamente alla musica wireless multi-room di raggiungere tutti i diffusori senza perdite. Oltre a un approccio innovativo al time-stamping dei bit digitali di musica riprodotta attraverso pacchetti audio, resero praticamente impossibile per un sistema Sonos riprodurre musica non sincronizzata, ma allo stesso tempo facile per gli utenti collegare e scollegare le stanze e trasmettere la musica a e da ogni stanza della casa.

“All’epoca si temeva che fosse impossibile”, ricorda Nick Millington. “In pratica ho iniziato a provare delle soluzioni, creare dei prototipi su PC, affidandomi a test di giudizio piuttosto che a test accademici”.

Presto un problema fu risolto. Ma solo su PC collegati l’uno all’altro come nodi in una rete, perché Sonos doveva ancora creare il proprio hardware, e i PC venivano collegati tra loro perché il team stava avendo difficoltà con la parte del wireless. MacFarlane fu incoraggiante, ma anche intransigente: il sistema doveva funzionare tramite Wi-Fi.

Stando alle parole di Jonathan Lang, questo significava che “dovevamo reinventare il modo in cui i dispositivi comunicavano tra loro. Non potevamo limitarci, e non ci siamo limitati, a ciò che esisteva all’epoca”.

Il team riconobbe il ruolo chiave del collegamento in rete mesh. Nel 2003 era un concetto che era stato applicato in ambienti altamente mobili, come i campi di battaglia, ma mai in casa o per soddisfare i rigidi requisiti dell’esperienza musicale. Per svilupparlo e implementarlo, Sonos aveva due possibilità: una soluzione tecnica più facile, a discapito dell’esperienza ideale dell’utente, oppure rendere tutto più semplice e perfetto per gli utenti ma estremamente difficile per i tecnici.

Lang ha spiegato perché: “L’approccio alternativo al collegamento in rete sarebbe stato quello di usare punti di accesso altrui. Eravamo convinti che questo avrebbe portato a una pessima esperienza dell’utente; ad esempio, se qualcuno in casa avesse premuto ‘Stampa’, avrebbe interrotto la musica. Il che sarebbe stato terribile”.

Il team si mise all’opera per aggiungere la capacità del collegamento in rete mesh agli altri passi avanti, e nel settembre 2003 arrivò il momento di mostrare un prototipo a John e al resto del team dirigenziale. Come con la maggior parte dei prototipi, alcune parti funzionavano perfettamente, altre mostravano un potenziale e altre ancora furono bocciate. La capacità della rete mesh si rivelò particolarmente insufficiente.

Sonos si rivolse a Nick Millington, che si era già affermato nel settore come sviluppatore di primo piano per le sue invenzioni nel campo della sincronizzazione audio. Né a lui né al resto del team importava che avesse un’esperienza pari a zero con i collegamenti in rete per quell’incarico. Con l’aiuto del corpo docente dell’Università della California-Santa Barbara, di un consulente e di un fornitore, in sei mesi Nick studiò da autodidatta le reti mesh, costruendone una da zero per Sonos, su un hardware che anche Sonos stava progettando da zero.

Nel gennaio 2005, al CES, Tom Cullen offrì a Bill Gates una delle prime dimostrazioni pubbliche del ZP100 e del CR100.

Il suo manager del tempo, Andy Schulert, ricorda: “Bisogna tenere presente che la nozione di collegamento in rete mesh esisteva, ma non nei prodotti audio. Quasi nessuno stava lavorando su sistemi integrati con Wi-Fi. Non c’erano driver di Linux di buon livello per il Wi-Fi. Stavamo costruendo un nostro hardware che non avevamo testato ancora del tutto. Nick è di gran lunga il migliore sviluppatore con cui abbia mai lavorato”.

Nel frattempo Rob Lambourne e Mieko Kusano stavano cercando di scrivere le specifiche del prodotto, sviluppare wireframe e test con gruppi campione di utenti per creare la giusta esperienza utente con un hardware progettato magnificamente.

Dopo la creazione del framework di base del sistema all’inizio del 2004, intriso di tecnologie nuove e ancora da testare, iniziò la fase successiva, che si concentrava sulla piaga degli ingegneri informatici: i bug.

Nonostante tutta l’ingegnosità a disposizione, i prototipi non riuscivano a comunicare tra loro in wireless, nemmeno a una distanza di 3 metri. E soprattutto per i sistemi integrati, all’epoca non esistevano strumenti di sviluppo e debugger.

Così Nick e John, con i prototipi chiusi in una scatola di cartone sul sedile posteriore dell’auto di John, si recarono alla Silicon Valley a trovare un amico di John, fornitore di hardware, il cui consiglio si riduceva a una sola parola: antenne.

Questo ha portato a un’altra serie di problemi attraverso misteriosi dettagli tecnici sugli standard di trasmissione (solo 802.11-b/g all’epoca), selezione e posizionamento di antenne, driver per dispositivi di rete e protocolli spanning tree, e i diversi modi in cui gli spazi vitali umani possono causare interferenze di segnale. È stato un periodo che nessuno dei responsabili descrive con romanticismo o addirittura nostalgia: è stato semplicemente un periodo caratterizzato da tanto lavoro, giorno dopo giorno, con progressi incrementali, senza nessun momento di folgorazioni o di grandi svolte.

Gli sviluppatori sanno che i bug più frustranti sono i cosiddetti bug “irriproducibili”. Molti di essi emergevano durante i test a casa dei dipendenti di Sonos, a Santa Barbara e nei dintorni, compreso un bug particolarmente frustrante, riproducibile soltanto a casa di una sola persona, che richiedeva uno sniffer di pacchetti per identificarlo e risolverlo.

Il primo prodotto di Sonos, il ZP100, fu apprezzato per la configurazione semplice, la facilità d’uso e un suono eccellente.

Andy Schulert ricorda: “Avevamo i nostri primi 15-20 prototipi, eravamo soddisfatti. Ne portammo 10 a casa di una persona per provarli. Li installammo e ne risultò un fallimento colossale. Funzionavano a malapena. Dovemmo regredire a soli due pezzi, individuare i problemi, per poi aggiungerne un terzo e così via. Fu atroce, ma ne è valsa la pena”.

Nell’estate 2004, Sonos aveva risolto tutti i bug, i prototipi stavano iniziando a funzionare con l’affidabilità necessaria e il team aveva iniziato a svelare il sistema ad altri operatori del settore. Questo confermò ciò che avevano incominciato a capire: la fatica compiuta fino a quel punto era stata ripagata con qualcosa di veramente nuovo.

Come spiega Jonathan Lang: “Il mio compito era quello di acquisire e proteggere tutta la proprietà intellettuale iniziale, ed ero fermamente convinto che stessimo prendendo le giuste decisioni in materia di progettazione. Al tempo stesso, però, sollevavamo di tanto in tanto la testa dal nostro lavoro, ci rendevamo conto che eravamo soli e ci chiedevamo: ‘Come mai nessun altro lo sta facendo?’”

La reazione del settore era elettrizzante a seguito di una dimostrazione condotta alla conferenza D: All Things Digital del 2004, con cui Sonos ottenne grande visibilità. Mentre il compianto Steve Jobs stava svelando Airport Express di Apple sul palco principale come soluzione per l’audio per la casa (una soluzione che richiedeva agli utenti di tornare a utilizzare il computer per controllare la musica), Sonos era in uno dei corridoi a dimostrare una funzionalità più avanzata e un controllo totale da parte dell’utente nel palmo di una mano.

Le esperienze musicali innovative spesso debuttano con alcune canzoni significative. È noto, ad esempio, che MTV ha debuttato con “Video Killed the Radio Star” dei The Buggles.

Cosa dire di Sonos? Il primo brano riprodotto a tutto volume per il pubblico con il primo prodotto Sonos, il ZP100, è stato “No Sleep ‘Til Brooklyn” dei Beastie Boys, prodotto dal supporter/consulente di lunga data di Sonos Rick Rubin.

I tecnici di Sonos potrebbero rivedersi nella parte del “no sleep” per tutto il lavoro che hanno svolto fino al lancio del ZP100. Ma il perfezionamento dell’esperienza per i clienti richiedeva un approccio più pratico alla selezione dei brani per i test, caratterizzato, i primi giorni, dallo sfogliare lunghi elenchi in ordine alfabetico di brani e gruppi musicali.

Così il brano più suonato dai tecnici di Sonos per i test era “3AM” dei Matchbox 20, per la sola ragione che si trovava in cima alla lista. Il gruppo musicale più suonato: 10.000 Maniacs.

Mieko Kusano ricorda un altro incontro che riassumeva tutto:

“Tra i primi outsider ad aver visto i nostri primi Zone Player c’era un team di tecnici e dirigenti di una nota società di prodotti tecnologici di consumo. Era il nostro primo incontro con quella società, e avveniva prima del nostro lancio. I Zone Player erano completamente funzionanti, e anche i controller. Uno dei tizi prese il nostro controller e scappò a gambe levate dalla sala conferenze. Ci colse completamente di sorpresa. Qualche minuto dopo tornò con il controller, senza fiato. Lo aveva portato fino al parcheggio per vedere se continuava a funzionare. Ebbene sì, funzionava”.

L’iniziale incoraggiamento del settore non significava che fossero immuni da nuove battute d’arresto. Sonos si era impegnata a lanciare i suoi primi prodotti nell’autunno del 2004, e il co-fondatore Trung Mai aveva trascorso gran parte di quell’anno a girovagare per tutta l’Asia con modelli in schiuma dell’hardware per trovare il giusto produttore. Una volta trovato, intervenne Jonathan Lang che si assunse la responsabilità di monitorare le linee produttive, un’altra prima esperienza nella sua carriera lavorativa. Man mano che venivano lanciate le linee di produzione, notò ciò che ha descritto come un “problema minore” con i controller, in particolare con un collante che non funzionava correttamente.

“Ho dovuto prendere una decisione”, ha affermato. ”Ma sapevo già che Sonos avrebbe dovuto fermare la produzione, scartare i prodotti, ritardare e trovare un collante che funzionasse. John e il team dirigenziale mi hanno consentito di prendere la giusta decisione”.

Parte 3: “Facilmente il meglio”.

Il 27 gennaio 2005 Sonos lanciò finalmente il suo primo prodotto, il ZP100. Subito arrivarono riconoscimenti del settore, ottime recensioni del prodotto e una copertura mediatica positiva, che continuarono in modo sostenuto per i primi mesi e anni di disponibilità. I recensori apprezzarono la semplicità di configurazione, il design, l’affidabilità e l’audio eccellente. Walt Mossberg, il più importante recensore di prodotti (che al tempo lavorava per The Wall Street Journal) scrisse: “Il sistema Sonos è indubbiamente il miglior prodotto di streaming musicale che abbia mai visto e provato”.

Con una reazione così positiva da parte dei media e del settore, i dirigenti di Sonos pensarono che un flusso di guadagni li avrebbe sommersi. Al contrario, le vendite erano buone, ma non eccezionali. Come Tom Cullen descrisse a Fortune in un profilo dell’azienda nel 2012:

“Eravamo lì seduti a chiederci: ‘è piaciuto a tutti’”, ricorda Cullen…

“Eravamo lì seduti a chiederci: ‘è piaciuto a tutti’”, ricorda Cullen…

“Perché non arriviamo a $ 500 milioni [di fatturato] al giorno?” Successivamente, l’azienda viene colpita duramente dalla recessione. “Il mondo si era fermato. Dopo tutto, a nessuno serve un Sonos”, afferma Cullen. All’epoca l’azienda stava lavorando a un diffusore wireless più grande, ma non disponeva del capitale necessario per completarlo. Alcuni membri del team, compreso Cullen, chiesero un prestito a degli amici e furono costretti a pagare i dipendenti di tasca propria [Trung Mai, in particolare, lo ha fatto più di una volta secondo Cullen].

Sonos era determinata ad andare avanti, lanciando scommesse importanti relative a sistemi e tecnologie di nuova generazione, con la convinzione che i consumatori si sarebbero ripresi. L’azienda si affidò all’istinto di John che suggeriva di anticipare e sfruttare le tendenze, nonostante il rischio di giocare troppo d’anticipo.

I suoi sistemi di seconda e terza generazione furono dei tentativi di trasmettere la musica direttamente ai suoi lettori, eliminando completamente i computer dall’equazione. Iniziarono nel 2006, con Rhapsody come primo servizio musicale. Fu un importante punto di svolta per l’azienda, e per l’epoca non era affatto ovvio.

Con il lancio dell’iPhone nel 2007 e il boom di app sull’App Store di Apple, Sonos lanciò una propria app gratuita per gli utenti di iPhone, che consentiva di trasformare il proprio iPhone in un controller, senza dover acquistare il telecomando di Sonos. (Nel 2011 è arrivata l’app Sonos per gli utenti Android e nel 2012 Sonos ha eliminato gradualmente l’hardware del proprio controller).

Poi, nel novembre 2009, Sonos lanciò PLAY:5, uno speaker all-in-one davvero intelligente, al prezzo di $ 400, circa un terzo del prezzo inaugurale del prodotto originale di Sonos, il ZP100 (che con diffusore e controller costava circa $ 1200 nel 2005). Le speranze di una crescita forte e sostenuta si realizzarono. Questo momento segnò anche un passo più deciso verso costanti aggiornamenti del software per il miglioramento continuo dei prodotti, un’attenzione sempre più incentrata sulla qualità audio e relazioni più strette con artisti discografici e altre figure all’interno della comunità dei creativi.

Queste relazioni portarono Sonos in una nuova dimensione come azienda. Sonos riconobbe che ottimizzare l’audio musicale in casa significa chiedere ai produttori quale suono desiderano per la loro musica. Sonos imparò rapidamente che, per quanto esigenti possano essere tecnici e progettisti, non ci sono critici più esigenti dei musicisti.

Sonos stabilì i primi processi per il testing e il feedback dei suoi prodotti con la comunità di creativi, coinvolgendo produttori, musicisti e compositori. Con Trueplay, lanciato nel 2015, il produttore Rick Rubin diresse un team di consulenti, per portare, sin dall’inizio, la prospettiva degli artisti nel processo di sviluppo dei prodotti.

Rick ha spiegato la genesi di TruePlay al momento del suo lancio: “Ogni volta che portiamo nuovi diffusori nello studio assumiamo un professionista che si occupi di sintonizzarli in base alla stanza. Ogni stanza ha un’acustica diversa, per cui serve una persona che si occupi dell’equalizzazione di tali diffusori in base allo spazio. Pertanto, ho suggerito a John, il fondatore di Sonos, che sarebbe stato interessante se ci fosse stato un modo per mettere quella stessa tecnologia a disposizione di tutti”.

Parte 4: Da amanti della musica. Per amanti della musica.

Come brand e azienda, Sonos ha costruito una base solida in quei primi anni, quando ha iniziato a prendere forma la sua cultura, una cultura che mette al primo posto l’esperienza, è inesorabilmente progressiva e in cui le persone trattano i clienti così con l’attenzione con cui vorrebbero essere trattati. Sonos continua ad attirare talenti di punta che aspirano a diventare pionieri, disposti a spingersi oltre i propri limiti per esplorare nuovi territori, nel rispetto dei principi stabiliti nel 2003.

Un sottoprodotto di questi principi è, senza esagerazioni, l’ossessione fanatica per la qualità. Questa ossessione si è palesata soprattutto nella decisione di Jonathan Lang, supportato della leadership di Sonos, di scartare una grande quantità di prodotti realizzati e ricominciare da capo a causa di un problema minore con un collante e, più in generale, nei lunghi e interminabili tentativi di ottenere una prima ondata di prodotti perfetti.

Ciò è dimostrato dalla convinzione di Mieko Kusano e Rob Lambourne di conseguire un design accattivante e una facilità d’uso fin dall’inizio e attraverso ciascuna fase dello sviluppo del prodotto, con rigorosa attenzione ai dettagli.

Mieko descrive l’approccio: “L’esperienza utente deve iniziare dalla profondità dell’ossatura di un prodotto, non dalla superficie. Il modo giusto di progettare un prodotto è dall’interno all’esterno. Non si parte dalla struttura tecnica per poi passare all’aspetto estetico. Si parte dal cliente. Ci si concentra sulle aree chiave, dove si sta tentando di fare la differenza e creare qualcosa di speciale. Successivamente si passa a reinventarlo”.

Non sono molte le aziende che arriveranno al punto di sviluppare una nuova resina plastica, cosa che ha fatto Sonos per eliminare le vibrazioni e migliorare la versatilità dei suoi subwoofer e diffusori. La cultura di Sonos prevede riflessioni approfondite e test sulle dimensioni, sul numero e sul posizionamento dei fori di uscita della PLAYBASE (per tutti i curiosi, nella PLAYBASE sono presenti 43.000 fori di dimensioni diverse).

Sonos PLAYBASE

Un elemento imprescindibile di questo ambiente esigente di creatività e precisione è una sfrontata fiducia nella protezione delle invenzioni. Uno dei primi incarichi svolti da Jonathan Lang in Sonos, indipendentemente dalla mancanza di esperienza nella proprietà intellettuale, è stato quello di catturare ogni nuovo progresso di Sonos per proteggerlo con un brevetto. Presso Sonos, tecnici e progettisti hanno nutrito un costante apprezzamento per i diritti di proprietà intellettuale come base per la concorrenza, la partnership industriale e l’innovazione.

In questa costante ricerca dell’eccellenza tecnica, Sonos non ha mai perso di vista la sua missione di riempire ogni casa di musica. Come dice Mieko Kusano, Sonos è fatta “Dagli amanti della musica. Per amanti della musica”.

Guardando al futuro, i dipendenti di Sonos hanno ben chiaro che non stanno costruendo semplicemente delle meraviglie tecnologiche, ma esperienze musicali più ricche per la casa, il che significa unire le forze di tecnici e talenti creativi eliminando il divario universale esistente. Hanno visto con i propri occhi la differenza nell’esperienza offerta a musicisti e ascoltatori in casa. Gli artisti sono soddisfatti che il proprio lavoro abbia il suono che dovrebbe avere. Gli amanti della musica sono felici di condividere l’esperienza musicale in casa.

E in questo modo, la storia si conclude là dove era iniziata. Un gruppo di persone, in molte stanze in tutto il mondo, concentrato su una visione audace: qualsiasi brano, in qualsiasi stanza, con un suono sempre straordinario.

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Crediti

  • “Sonos Spins into Control”, Santa Barbara Independent, Matt Kettman, 27 agosto 2015.
  • "Sonos builds beyond its bass”, Fortune, JP Mangalindan, 25 giugno 2012.
  • “How Sonos Built the Perfect Wireless Speaker”, Bloomberg, Ryan Bradley, 30 ottobre 2014.
  • “The Story Behind the Wireless Music System 10 Years in the Making”, Mashable, Amy-Mae Elliot, 8 dicembre 2011.
  • “How a Beatles producer is helping Sonos reimagine the way we hear music”, Fast Company, John Paul Titlow, 29 settembre 2015.
  • “The Infinite Music Collection”, Joel on Software blog, Joel Spolsky, 9 novembre 2006.
  • "Gadget That 'Streams' Music Around House Is Terrific but Pricey”, The Wall Street Journal, Walt Mossberg, 24 febbraio 2005.